Di PIETRO DEL Re Questa provincia è stata scelta dall´Allenza come area pilota della transizion. BAMYAN – «Sono belle anche così», sostiene Mokhtar Ahmadi di fronte alle caverne...
Di PIETRO DEL Re
Questa provincia è stata scelta dall´Allenza come area pilota della transizion.
BAMYAN – «Sono belle anche così», sostiene Mokhtar  Ahmadi di fronte alle caverne che fino
al 2001 ospitavano i Buddha  ciclopici contro i quali s´accanì la follia iconoclasta dei Taliban, e
che oggi come due gigantesche orbite vuote conservano il ricordo di quei  giorni terribili. Ora, se
il turismo può costruire la sua fortuna sulla  memoria, a Bamyan, capoluogo dell´omonima
provincia afgana scelta dalla  Nato come area pilota per la transizione, c´è già chi per non
dimenticare quello scempio vorrebbe rilanciare l´industria turistica.  
«Durante gli anni Settanta
da queste parti arrivavano anche 60mila  stranieri in una sola estate: un giorno non troppo
lontano potremmo  tornare a quei fasti», aggiunge Mohktar al quale, quel giorno,  piacerebbe
raccontare ai visitatori la storia degli idoli distrutti dal  tritolo degli Studenti del Corano.
Come la maggioranza della  popolazione di Bamyan, anche Mokhtar è hazara. Appartiene cioè
a uno dei  pochi gruppi etnici pacifici dell´Afghanistan, e forse per questo tra i  più discriminati e
perseguitati. Come spiega la governatrice della  provincia, Habiba Sarabi, prima e unica donna
a ricoprire tale incarico,  gli hazara non sono mai stati così felici negli ultimi duecento anni.
«Che cosa succederà quando andranno via delle truppe della Nato? Non oso  pensarci», dice.
«Da un lato siamo fieri che la transizione cominci  proprio qui da noi, dall´altro siamo angosciati
perché essa rappresenta  la prima tappa della cosiddetta Exit strategy».

Già, la transizione  spaventa molti afgani. Spaventa anzitutto chi vive nelle sette aree del
Paese ormai relativamente tranquille – due province e cinque città –  dove il mese prossimo le
forze della coalizione lasceranno la gestione  della sicurezza in mano alla polizia e all´esercito
afgani, in vista,  nel 2014, di un ritiro definitivo. «Ma la transizione non è una data,  bensì un
lento processo di passaggio delle consegne», minimizza il  generale statunitense James
Mallory. «Mi sembra un lasso di tempo  realistico perché ciò avvenga senza intoppi, anche se in
certe aeree  rimarrà necessaria la nostra presenza».
Per poter ritirare le sue  truppe tra tre anni, dall´inizio del 2011 Washington spende un miliardo
di dollari al mese che servono a reclutare, armare e alfabetizzare  l´esercito afgano. E ha
consentito al presidente afgano, Hamid Karzai,  di ottenere prestiti cospicui per altri quindici
anni, con cui pagherà  gli stipendi dei suoi soldati e dei suoi poliziotti.
Il problema è  sempre lo stesso, gli insorti, che sono Taliban, ma anche ex signori  della guerra,
trafficanti di droga, fanatici di Al Qaeda e criminali  comuni, e che lo scorso maggio hanno
ucciso quasi quattrocento civili,  un bilancio che non si registrava in un solo mese dal 2007.
Perfino  nella sicura Bamyan, pochi giorni fa è stato rapito e decapitato un  consigliere
provinciale. Quando chiediamo al colonnello Sean Ferrari  della Nato training mission il perché
di tante vittime, oggi che tutti  parlano di un netto miglioramento della situazione, lui risponde
che gli  insurgents sono più che mai sotto pressione: «Non credo che siano  diventati più forti,
ma che stiano piuttosto sparando le loro ultime  cartucce perché si sentono con le spalle al
muro».
Il colonnello  Ferrari cita l´esempio di quanto accade nel sud dell´Afghanistan. Negli  ultimi mesi
le forze della coalizione hanno aumentato i loro effettivi  di 50mila unità, e sono adesso
coadiuvate da circa 100mila nuove reclute  dell´esercito afgano: insieme hanno conquistato
posizioni, tagliato le  vie di comunicazione e rifornimento dei Taliban, catturato o ucciso  molti
loro capi. «È in atto un´escalation ed è perciò normale che ci  attacchino con così tanta.
1 / 2A Bamyan, nella terra orfana dei Buddha “Per primi senza la Nato: abbiamo paura”
Fonte: PIETRO DEL RE – la repubblica
Mercoledì 22 Giugno 2011 10:24 – 
violenza».
Tuttavia, gli stessi generali  della Nato sono convinti dell´inutilità di una guerra a oltranza contro
gli insorti, salvo ovviamente contro quei fanatici che vorrebbero  riportare l´Afghanistan indietro
nel tempo e che per questo motivo  mandano i loro sgherri a farsi esplodere nei mercati più
affollati.  Secondo il comandante delle operazioni militari statunitensi in  Afghanistan, David
Petraeus, i Taliban sono circa 30mila. 
Un computo nel  quale non rientra però chi accetta di
piazzare un ordigno lungo una  strada in cambio di una decina di dollari. Per molti di loro è stato
 lanciato un programma di reinserimento alla vita civile. «Ma non li  disarmiamo, per la loro
stessa incolumità, perché quando cambiano  casacca diventano automaticamente bersaglio dei
loro ex compagni:  possono quindi conservare il loro kalashnikov, che dovrà essere  registrato e
che servirà a difendersi da eventuali rappresaglie», dice  Gary Younger al quartier generale
della Nato a Kabul. «Dopo 30 anni di  guerra, gli afgani sono stanchi di combattere, ma per
costruire la pace  dobbiamo reintegrare i combattenti con dignità e onore». 
Al momento  soltanto in pochi hanno smesso di spalleggiare gli insorti, mentre tutti  si chiedono
che cosa accadrà il maledetto giorno in cui si ritireranno  gli eserciti stranieri. Se lo chiede
anche Hamid Adina, preside  dell´Università di Bamyan, distrutta dai Taliban nel 2000 e
rifondata  nel 2004. «Oggi conta circa duemila studenti ma per loro non ci sono  dormitori,
mancano le sedie e spesso anche l´elettricità per accendere  il centinaio di vecchi computer che
abbiamo in facoltà», dice. 
Oltre  le finestre del suo studio, nereggiano le caverne dei Buddha,  mastodonti che furono
scolpiti nel V e VI secolo. Uno era alto 35 metri,  l´altro 53. Una ong tedesca ha pazientemente
numerato i blocchi di  macerie in cui i Taliban li hanno ridotti, nella speranza che si possa  un
giorno tentare un improbabile restauro. 
All´orizzonte svettano  quei picchi incappucciati di nevi eterne che circondano la valle di
Bamyan. «Potremmo sfruttare questo straordinario patrimonio  naturalistico anche d´inverno,
magari per lo sci alpinismo», dice Gul  Hussian Baiazada, giovane e visionario imprenditore. Il
problema è che  per raggiungere la città dei Buddha distrutti non ci sono voli per  turisti. Chi
invece volesse andarci in macchina da Kabul sarebbe  costretto a percorrere strade dove non si
avventurano neanche i blindati  della Nato.